Zhang Yang presenta Paths of the Soul

Zhang Yang presenta Paths of the Soul

Paths of the Soul ci porta in pellegrinaggio accanto a un gruppo di buddhisti tibetani che compiono l’arduo viaggio verso Lhasa inginocchiandosi in preghiera ogni dieci passi. Non solo un film che racconta la dedizione alla fede, ma un film che ha a sua volta ha richiesto notevole dedizione a regista e troupe, che hanno dovuto seguire gli “attori” per un anno, vivendo con loro e viaggiando lungo la via del pellegrinaggio. Il film è arricchito da un filo narrativo, ma rimane saldamente basato sull’osservazione del reale. Yang ha fatto tutto il possibile per trovare un villaggio di pellegrini disposti a diventare attori per il suo film.

«Mi piace il Tibet, ci sono stato diverse volte – racconta il regista, Zhang Yang – Lì, lungo la strada, ho incontrato alcuni pellegrini che mi hanno ispirato a tal punto da pensare che un giorno avrei fatto un film su questo pellegrinaggio. Per i buddhisti tibetani, percorrere questo cammino almeno una volta nella vita è un dovere, ed è naturale che lo facciano. La difficoltà non è stata quindi motivare le persone a farlo, ma spiegare loro cosa volesse dire fare un film, e convincerli a parteciparvi. Mi ci è voluto molto tempo per spiegare come sarebbe stato girare un film ma, una volta riuscito a farlo, girare con loro non è stato affatto un problema. La difficoltà maggiore è stata trovare il villaggio giusto, quello che racchiudesse tutti gli attori che volevo includere nel film. Sono stato davvero fortunato a trovarlo.»

«Il film si compone di due parti: quando i pellegrini si prostrano e sono davvero reali pellegrini che compiono un atto religioso, quando invece dialogano o in altre scene sono, più o meno, degli attori. Ho chiesto loro di essere più naturali possibile, di rilassarsi e comportarsi come fossero stati nella vita reale. Così la differenza tra le due parti non risulta affatto marcata.»

Le relative scene sono state, per forza di cose, lunghe e talvolta complicate, ma Yang l’ha presa con la giusta filosofia.

«Per me è stato un processo piacevole nonostante le difficoltà. Il Tibet è ad alta quota e puoi solo immaginare con videocamera e attrezzature pesanti quali seri problemi tecnici si possano incontrare all’inizio. Poi la troupe si è adattata, e tutto è andato bene. Così, per un anno, l’intero team ha abitato quella zona: un’esperienza straordinaria».

«Non c’è miglior sorpresa di quella che può arrivare da una donna incinta che compie il viaggio. Nel film, questa donna è impersonata da Tsring Chodron, che era veramente incinta quando sono iniziate le riprese, e che ha partorito lungo la strada. Per i veri buddhisti tibetani è naturale che, durante il pellegrinaggio (che dura uno o due anni), una donna dia alla luce un bambino mentre è per strada. L’avevo già visto prima ed è proprio per questo che ho cercato di trovare un villaggio con una donna incinta, così da poter includere questa scena nel film. Per fortuna ne abbiamo trovata una! All’inizio delle riprese le ho subito detto che avremmo atteso e filmato il momento della nascita».

Yang non professa una religione specifica. Sente però che, data la rapida espansione della Cina, non esista momento migliore per considerare la fede e le sue motivazioni.

«È il film giusto al momento giusto. A causa del rapido sviluppo della Cina negli ultimi decenni, il tenore generale di vita si è alzato, generando una confusione di valori. Il successo è perlopiù misurato dal denaro, e i valori, per molte persone, sono connessi al denaro. Quindi, girare ora questo film è significativo, perché possiamo riflettere su noi stessi e vedere cos’è la fede, riscoprendola dentro di noi. Personalmente non ho un credo religioso; girare il film e guardarlo, però, ha dato il via a un processo di scoperta interiore – forse sarà così anche per il pubblico. Ciò non significa che, dopo aver visto il film, uno improvvisamente scoprirà la fede, non è così semplice. Ma spero che, guardandolo, osservando il modo di vivere dei pellegrini e il loro atteggiamento, tranquillo e pacifico, lo spettatore possa riflettere su se stesso».



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